“Volevo giocare nella Lazio”, al Circolo Canottieri Aniene la presentazione del libro su D’Amico

Si è svolta nella serata di ieri, lunedì 3 giugno, presso il Circolo Canottieri Aniene a Roma la presentazione del libro dedicato a Vincenzo D’Amico, storico calciatore della Lazio scomparso l’1 luglio dello scorso anno a seguito di una malattia, dal titolo: “Volevo giocare nella Lazio”, scritto dal giornalista Gianluca Atlante e edito dalla Lab Dfg.

A moderare l’evento è stato il nostro direttore Guido De Angelis, che ha inizialmente preso parola dopo che in sala era stato mostrato un commovente filmato di D’Amico insieme al figlio Matteo in occasione dell’evento ‘Di padre in figlio’ svoltosi allo Stadio Olimpico nel 2014: “Era giusto cominciare con questo filmato dato che rappresenta un’mmagine tenera di Vincenzo e Matteo. Stasera andiamo a presentare questo libro di cui il titolo già dice tutto. È stato scritto da Gianluca Atlante, ragazzo di Latina che, oggi giornalista professionista, ha voluto fortemente scriverlo”. Lo stesso autore è intervenuto subito dopo: “Vincenzo è figlio della mia città, ovvero Latina. D’Amico è stato, insieme a Giorgio Chinaglia, il mio idolo da bambino. Dedicargli un libro è una cosa che gli dovevo, perché mi ha voluto bene e mi ha sempre aperto quello che era il suo mondo. Quando il mio editore mi ha proposto l’idea, per prima cosa ho parlato con la famiglia di Vincenzo e loro mi hanno detto di essere felici che il libro lo facessi io. Senza il loro permesso non avrei scritto neanche una riga. Non è stata una cosa facile, ma mi sono avvalso di compagni di viaggio meravigliosi che mi hanno aiutato a scriverlo”. Tra questi c’è Bruno Giordano: “Vincenzo appartiene a tutti e per me è difficile parlarne perché se vado oltre mi commuovo. Non dobbiamo parlare di lui al passato perché lui è sempre nei nostri ricordi. Basta mettere un qualsiasi video e vedere quello che faceva in campo. Noi ce lo siamo gustati anche al di fuori del rettangolo di gioco e la nostra amicizia è durata cinquant’anni. Io dico sempre che con Vincenzo, anche volendo, era impossibile litigare: magari andavi al campo e dicevi ‘Mo glielo faccio vedere io!’, poi però lo vedevi e tornavi indietro. Ha accolto noi giovani, avendo due anni più, in quello spogliatoio dove c’era gran parte della Lazio scudettata ed è stato il nostro passepartout permettendoci di entrare piano piano e farci apprezzare da Chinaglia, Wilson e tutti i mostri sacri di quella squadra. Vincenzo ha fatto di tutto per la Lazio e fa parte di quelle due-tre persone che la rappresentano in tutto e per tutto”.

È la volta di Giancarlo Oddi: “Vincenzo era il più piccolo di tutta la squadra e dunque era per noi un fratellino, ma uno di quelli che ti prendeva per i fondelli in ogni momento (ride, ndr). Qualsiasi cosa facesse era per scherzare. Ci diceva che avevamo vinto lo scudetto solo perchè nel 1973 era arrivato lui, dato che l’anno prima ci eravamo classificati terzi. Effettivamente era davvero andata così e lui cercava sempre di giocare su questo. Qualcuno poi ci si arrabbiava anche ma poi le discussioni finivano sempre dato che con lui era impossibile litigare. È andato via troppo presto. Avere come amico uno come Vincenzo era un qualcosa di felice”.

Poi è toccato a Fernando Orsi: “Quando una persona importante viene ricordata soltanto con il nome vuol dire che ha davvero lasciato qualcosa di importante. Infatti, quando nell’ambito Lazio si parla di Vincenzo, si capisce subito che ci si riferisce a D’Amico. Questo è riconoscibile anche in tutto l’ambiente calcistico. La nostra amicizia ha rappresentato una bella storia, dato che poi mi ha fatto anche da testimone di nozze. Lui non sembrava un grande leader, ma in realtà lo era. Con certe giocate e sguardi durante la partita ti dava quel qualcosa in più”.

Tra coloro che hanno giocato con lui c’è anche Massimo Piscedda: “Vincenzo per me era una persona molto onesta. Nell’anno in cui Giordano si fece male lui ci risollevò. Quando in campo aveva la palla speravamo sempre si inventasse qualcosa. Faceva delle cose in allenamento che ho visto fare solo a Maradona. Credo che, volendo stare sempre alla Lazio, si sia anche un po’ rovinato la carriera principalmente a livello di nazionale. Purtroppo non lo abbiamo visto giocare a quei livelli perché, secondo me, questo amore per la Lazio lo ha frenato molto”.

A ricordare D’Amico anche Massimo Maestrelli, figlio di Tommaso: “Quando papà scomparve, nel pomeriggio del 2 dicembre 1976, io e mio fratello Maurizio non sapevamoa ancora nulla. Venimmo portati in una stanza: con mio fratello c’era Re Cecconi e con me Vincenzo. Lui non mi disse che mio papà se n’era andato, ma mi guardò, mi sorrise e mi rese un momento duro una cosa molto dolce. Lo ringrazio per quei momenti”.

È poi intervenuto il giornalista Michele Plastino: “Credo che il modo in cui ho conosciuto Vincenzo spieghi tutto: Stavo facendo una trasmissione dove c’era un quiz in cui chi indovinava sarebbe venuto la volta dopo a fare l’opinionista vicino a me. Rispose correttamente una persona che mi disse soltanto di fare D’Amico di cognome e io dissi: ‘D’Amico come Vincenzo!’, e lui prontamente rispose: ‘No, non hai capito: io sono Vincenzo D’Amico!’”. Plastino ha poi ricordato con commozione: “Il più grande onore della mia vita è stato quando Vincenzo mi disse che mi voleva come padrino di suo figlio Matteo, quello per me è stato indimenticabile e mi sento orgoglioso di esserlo ancora fortemente”. Lo stesso Matteo D’Amico, non potendo essere presente per motivi lavorativi, ha salutato tutti tramite un video in cui ha ringraziato le persone presenti all’evento. Anche Gabriele Pulici, figlio di Felice, ha ricordato Vincenzo D’Amico: “Per me è un onore essere qui perché il rapporto che c’era tra mio papà e Vincenzo era qualcosa di straordinario. Si consideravano come fratelli. Nel periodo della sua malattia mio papà, quando aveva bisogno di un momento di svago, telefonava subito a Vincenzo, perché aveva bisogno di sentire una persona che lo capisse. Ho assistito a telefonate in cui per due o tre minuti stavano semplicemente a ridere”.

La parola è poi andata anche a James Wilson, figlio del capitano Pino: “Di Vincenzo mi ha sempre colpito un aspetto: ogni volta che si incontrava con papà avevo un modo di salutarlo, una profondità nello sguardo e un amore fuori dal comune. Quell’amore è quello che noi abbiamo ancora oggi. Proprio per come in quella squadra Vincenzo trasmetteva questo sentimento”.

A ricordare D’Amico ha poi pensato il presidente della Polisportiva Lazio, Antonio Buccioni: “La prima volta che ho visto il Vincenzo calciatore era in un derby Primavera, avevo tredici anni e mezzo. L’ultima volta invece, nel campionato 1985/86, io ero diventato un uomo e avevo quasi trent’anni. Parliamo di uno strepitoso personaggio che attraverso tante esperienza ha incarnato tutti i ruoli, compreso quello del leader. Quando si venne a sapere delle sue non buone condizioni di salute, io come tanti altri scrissi il mio incitamento sui social. Il giorno dopo mi arriva una telefonata dal Portogallo e sento dire: ‘Sono Vincenzo, non ti preoccupare e non stare a sentire quello che dice la gente. Non sto proprio bene bene, ma tempo di venire a Roma e mi restauro ancora una volta’. Fu una bugia che mi fece campare meglio qualche settimana e che gli perdono. In quello splendido paradiso degli eroi biancocelesti Vincenzo si trova degnamente in pole position”.

Un evento che, oltre che come presentazione di un libro, è servito anche per raccogliere valorose testimonianze su Vincenzo D’Amico. Il giocatore, l’uomo e la sua infinita lazialità, perché lui “Voleva giocare nella Lazio”.