ESCLUSIVA LAZIALITÀ – De Grandis: “Chinaglia il mio unico idolo d’infanzia. La squadra del ‘74 è irripetibile”. E su Sarri e Maestrelli…

Stefano De Grandis noto giornalista di Sky, intervistato in esclusiva dalla nostra redazione, ha rilasciato diverse dichiarazioni sull’imminente uscita del docu-film “Bella e Maledetta”, racconto suddiviso in tre parti che narra l’impresa della Lazio del ‘74 targata Tommaso Maestrelli.

Di seguito l’intervista completa.

Cosa ha spinto la produzione di Sky a raccontare l’impresa dello scudetto della Lazio del 1974?

“Il direttore di Sky mi aveva chiesto se avevo degli argomenti in mente per raccontare qualcosa, io gli ho detto che mi sarebbe piaciuto scrivere sulla Lazio di Maestrelli o sul calcioscommesse. Lui mi disse se volevo fare un documentario, ho subito accettato sapendo anche che la Lazio aveva delle immagini inedite da fornirci. Quindi la Lazio stessa è entrata a far parte del progetto, ci è voluto un po’ di tempo ma poi tutto si è realizzato. Non è detto che il documentario lo guardino solo i tifosi della Lazio, visto che si tratta di una vera e propria storia che può interessare un pubblico molto vasto. Quella del ‘74 è stata quasi un romanzo, fatto da personaggi pieni di personalità inseriti in un contesto particolare come quello degli anni settanta”.

Il doc-film prende il nome di “Bella e Maledetta”, perché la scelta di questo titolo? Qual é il significato?

“Il materiale che abbiamo registrato era veramente ampio fra le altre cose, nell’intervista fatta da Franco Recanatesi – cronista del Corriere dello Sport -, lui definì quella squadra come “Bellissima e maledetta” da qui lo spunto per il titolo. Bella perché proponeva un calcio all’olandese, che si opponeva allo strapotere delle squadre del Nord, partendo da sfavorita. Maledetta per via delle sfortune che hanno poi falcidiato quel gruppo, partendo dalle morti di Maestrelli e Re Cecconi fino ad arrivare alla fuga da Roma di Chinaglia, per via del suo rapporto molto burrascoso con i tifosi giallorossi. Purtroppo quella Lazio duró poco, dopo un secondo posto ed il tricolore, nell’anno successivo arrivò soltanto un quarto posto come chiusura di un triennio importante. Si può dire che fu come una cometa”.

Quello del ‘74 fu uno scudetto inaspettato, secondo lei a distanza di 50 anni una vittoria del genere sarebbe ripetibile? Sarri in panchina può essere l’uomo giusto per questa impresa?

“Parlando più in generale, al momento è più complicato. All’epoca vengono in mente i trionfi di Cagliari, Fiorentina e Verona mentre ora molto viene spostato dagli introiti delle televisioni e delle coppe europee, quindi annullare il gap finanziario non è cosa facile. È vero che delle eccezioni accadono ancora, come ad esempio il Leicester di Claudio Ranieri.
Lo stesso Sarri, lo scorso anno, ha portato la Lazio al secondo posto in maniera del tutto inaspettata, magari in un contesto diverso trattenendo giocatori come Milinkovic-Savic si sarebbe potuto puntare a qualcosa di più ambizioso. La società però è molto attenta al bilancio e mantenere una squadra di medio calibro, finanziariamente parlando, ai vertici è molto complicato. L’ultimo esempio è quello legato al rinnovo di Felipe Anderson, il quale non ha ancora firmato e a breve sarà libero di accasarsi altrove”.

Vede delle similitudine tra Sarri e Maestrelli sul l’alto della leadership o sul metodo d’allenamento?

“Sarri si è sempre interessato alla storia della Lazio di Maestrelli, ha parlato a più riprese con il figlio Massimo, e si è emozionato nell’incontrare Martini. Sono due allenatori che prediligono lo stile offensivo, Maestrelli come ho detto propose un calcio che si rivide nell’Olanda di Crujiff. Sarri ha lo stesso tipo di caratteristiche. A livello caratteriale il mister toscano è magari più burbero, mentre Maestrelli era più pacato e diplomatico soprattutto nel rapporto con i calciatori. Fu artefice della squadra proprio dal punto di vista gestionale. Sono due persone che vengono dalla gavetta e che possono condividere una base di umiltà”.

La squadra del ‘74 vinse lo scudetto proprio grazie al gruppo. Conoscendo di persona alcuni dei protagonisti e sentendo le loro parole, quali erano i loro punti in comune?

“Più che forza del gruppo nel senso comune parlerei di personalità proprio dei singoli. È vero che alcuni si frequentavano dentro e fuori dal campo, ma in allenamento si arrivava anche alle mani. La forza era, che quando si scendeva in campo, vigeva il motto: <>. Il punto di forza era anche, e soprattutto, Maestrelli, riusciva ad entrare nella mente dei suoi giocatori assecondando inizialmente le loro scelte, tipo un padre con il proprio figlio. Un esempio può essere Chinaglia che chiedeva, spesso, di non far giocare Martini e Re Cecconi poiché non correvano ma soprattutto perché non erano suoi amici. All’inizio Maestrelli sembrava dargli corda, quando in realtà aveva già il quadro completo della situazione. Successivamente c’era la dote spiccata di Chinaglia di essere un trascinatore. Di tutti i centravanti che ha avuto la Lazio, probabilmente non è il più tecnico ma sicuro il più leader di tutti. Aveva una voglia di vincere assurda. Altrettanto fondamentali sono state le figure di Wilson, Frustalupi e Garlaschelli. Tutti insieme nel complesso avevano creato una squadra di spiccata personalità pazzesca”.

Lei, quando la Lazio vinse lo scudetto aveva 12 anni, ha qualche ricordo di quel periodo?

“Chinaglia è stato il mio unico idolo, avevo un’idolatria smisurata solo per lui. Mi affascinava tantissimo. Ho seguito ovviamente la Lazio, non dal punto di vista tecnico, ma di coinvolgimento. Quando la squadra attaccava lo stadio tambureggiava ed era coinvolto. Mi viene in mente la partita tra Lazio e Verona, quart’ultima giornata di campionato, dove i biancocelesti erano primi in classifica ma stavano perdendo 2-1 alla fine del primo tempo. Maestrelli chiese ai suoi ragazzi di aspettare i gialloblù in campo, senza entrare negli spogliatoi, che obbedirono subito. Il pubblico percepì la voglia di rimontare e li sostenne fino alla vittoria finale, diventando un tutt’uno con i calciatori”.

Ci può dare un piccolo spoiler del docu-film che uscirà il 5 gennaio 2024?

“Sarà suddiviso in tre puntate: la prima è intitolata “La Grandezza della Lazio”, in cui ci si concentra maggiormente sull’evoluzione della squadra e sulla figura di Maestrelli, da contestati a fortissimi. Si vedranno immagini inedite di Lazio-Foggia, riprese dalla Tevere, in cui nel preciso momento del rigore scudetto lo Stadio, avvolto da un silenzio assordante, permise di sentire l’impatto del piede di Chinaglia con il pallone. La seconda puntata si chiama “Pistole e Palloni”, molti calciatori erano appassionati di pistole. Su questo ti posso raccontare un aneddoto che riguarda Badiani: venne mandato a spostare delle sagome e nel mentre gli altri sparavano nelle vicinanze. L’ultima puntata è molto più toccante, lascia tanto spazio ai ricordi. Ci sono le parole dei figli dei protagonisti e si parla di chi è scomparso. Basti pensare che nessuna squadra ha una tomba in cui sono tumulati assieme capitano, capocannoniere e allenatore. Nel docu-film si vedono i figli che vanno a trovare i propri cari, parlando delle loro gesta. Questo va a mettere in evidenza quanto, dopo 50 anni, il ricordo sia ancora vivo e quanto questa squadra sia irreperibile”.