L’ex allenatore dei biancocelesti Sven Goran Eriksson, ai microfoni di TvPlay, ha parlato del suo possibile ritorno all’Olimpico in occasione di Lazio-Sassuolo di domenica 26 maggio (20.45) e non solo. Di seguito le sue parole.
RITORNO ALL’OLIMPICO – “Se sarò a Roma domenica? Penso di sì, però non ho deciso al 100% ancora. Quasi sicuramente sarà così, penso che sarà anche una grande partita”.
PASSATO ALLA LAZIO – “Quando ero alla Lazio mi svegliavo felice tutte le mattine, ero contento di andare al lavoro. Quella squadra non era forte, ma fortissima. C’erano tutti campioni, giocavano tutti in nazionale. Abbiamo vinto in un modo speciale, per qualche anno siamo stati tra i migliori d’Europa. Si poteva vincere uno scudetto in più, quello dell’anno prima perso con il Milan. Dovevamo vincerlo, però abbiamo ottenuto tanti altri successi”.
“Inzaghi? Sta facendo un grande lavoro con l’Inter. È giovane come tecnico, può allenare per tanti anni ancora. Ogni allenatore ha le sue qualità. Qualcuno è più bravo tatticamente, qualcuno nel dare forza ai propri calciatori. Io ero bravo a creare un gruppo forte, in cui tutti i calciatori volevano vincere insieme. Non è facile gestire i giocatori, sono molto differenti tra loro, l’importante è parlare nella loro “lingua”, farsi accettare e capire. Ognuno ha un temperamento diverso, in quella Lazio ogni singolo calciatore voleva vincere. Si lavorava bene, era un gruppo forte, non avevo problemi a gestire la rosa. Avessero voluto, avrebbero potuto fare un grande casino. Nessuno però lo faceva perché volevano la stessa cosa: vincere. E quindi accettavano di essere in panchina, di essere sostituiti, sapevano di non poter giocare tutti contemporaneamente. Le cose andavano bene anche per questo motivo”.
“Quando ero ct dell’Inghilterra ogni tanto ci pensavo: ‘Ho fatto bene o male a lasciare la Lazio?’ Ma l’Inghilterra era una nazionale di grande prestigio. Il lavoro da ct è totalmente differente, in Nazionale hai poco tempo, nel club sei tutti i giorni coi calciatori. Ho visto la Lazio ieri, quando guardo le partite penso ancora come un allenatore, mi piace osservare i sistemi di gioco.
La malattia? Avevo cominciato un nuovo lavoro in Svezia come ds, dopo una settimana c’è stata la diagnosi, dovevo smettere di lavorare per curarmi. Hanno cominciato a circolare speculazioni sul mio conto, sul perché avessi smesso. Così ho fatto un’intervista in radio e ho detto della mia malattia, un tumore che non si può curare. È stato meglio così, ho interrotto le possibili domande. Pazienza. Voglio vivere tanto tempo ancora, ci proverò, vediamo. Sto abbastanza bene…”