Lazio, problemi tattici? Rendimento pre-Champions e dei secondi tempi dicono (anche) altro…

Una questione di mentalità, di carattere, di motivazioni. Sembrerebbe una follia, ma i problemi della Lazio sembrano ancora una volta avere una genesi che ha poco a che vedere con fattori tecnico-tattici. Se il quadro del campionato parla chiaro, con una classifica deficitaria e un gioco che latita, non dipende soltanto da moduli o controversie tattiche. Di certo i 448 minuti senza gol su azione in campionato sono troppi, e i 39 tiri in porta in 13 partite un bottino che definire irrisorio sarebbe un mero eufemismo. Tuttavia, dietro al crollo verticale della squadra capitolina rispetto allo scorso anno c’è anche – e forse soprattutto – una componente psicologica. Come già accaduto nella annata 2020/21 (l’ultima stagione con la Champions League giocata dalla Lazio prima dell’avvento di Maurizio Sarri), la Lazio sta racimolando pochissimi punti alla vigilia delle gare europee: attratta dalla vetrina internazionale, spesso la formazione ha distolto l’attenzione dal campionato, vero viatico per tornare a disputare la competizione che mette in palio la Coppa dalle Grandi Orecchie. Il dato è evidente: prima degli impegni di Champions League la Lazio ha collezionato 4 sconfitte e una vittoria, cioè 3 punti sui 15 disponibili, una media punti di 0.6 a partita, da retrocessione piena. Dopo le partite europee, invece, le aquile hanno conquistato 8 punti su 12 (in attesa del Cagliari), una media di due punti a partita, da…Coppa dei Campioni!

Il calo fragoroso dell’attenzione è lampante anche nel rapporto tra primi e secondi tempi. Dalla scorsa stagione, nella ripresa la Lazio smette di giocare. Nessuna iperbole, anzi. Dallo scorso aprile (dopo gli impegni europei in Conference League a metà marzo) in poi, la Lazio ha sistematicamente fallito l’appuntamento con i secondi tempi. Alla fine della stagione 22/23, i secondi tempi con Torino e Lecce sono terminati in parità, mentre la Lazio ha perso malamente nei secondi 45′ con Inter e Milan, e perfino con la Cremonese in casa (3-2 finale). Nella stagione in corso, in ben 10 occasioni la Lazio è sparita dal rettangolo di gioco all’intervallo. A Lecce e Salerno, dopo aver “vinto” la prima frazione, è stata ribaltata perdendo con due reti di scarto la ripresa, a Bologna ha preso gol addirittura già al minuto 46, mentre con Genoa, Juve, Monza, Atalanta, Sassuolo e Roma i secondi tempi non sono mai andati oltre il pareggio, anche quando la superiorità numerica in campo appariva netta (come a Reggio Emilia). A prescindere dall’atteggiamento che contraddistingue il rientro in campo dopo il break – una Lazio spesso scarica e lontana parente di quella spesso vista nel primo tempo – anche i numeri parlano di una Lazio che soltanto con Napoli, Torino e Fiorentina (in campionato) ha messo al tappeto l’avversario battendolo nella ripresa. Che ci sia un piano-gara per il primo ed uno per il secondo tempo di gioco? Evidentemente non può essere così, ma i numeri inchiodano i calciatori biancocelesti, che quasi mai nei secondi 45′ sono stati all’altezza delle aspettative. Se nella stagione attuale sono arrivate alcune rimonte in extremis (a Glasgow, con l’Atalanta, ma anche con l’Atletico Madrid), la squadra di Sarri continua a subire cocenti ribaltoni e a perdere troppi punti da situazione di vantaggio: è quanto accaduto all’Arechi di Salerno ma anche già – con le stesse modalità – al Via del Mare di Lecce e anche all’Olimpico con il Monza (1-1). Elemento di continuità con lo scorso anno è anche l’incapacità di Immobile e compagni di reagire ai gol incassati: soltanto in tre circostanze la Lazio, andata sotto nel punteggio, è riuscita a rispondere al rivale segnando un gol in questa Serie A (a Napoli, Juventus e Atalanta), e soltanto a Glasgow con il Celtic è riuscita a ribaltare il risultato. Tutti sintomi di una fragilità da superare, se l’obiettivo è ripartire e tornare in alto.