In occasione del 25esimo anno dal secondo scudetto della Lazio, l’ex presidente biancoceleste Sergio Cragnotti è stato intervistato dal nostro direttore Guido De Angelis. Cragnotti che, nella sua gestione dal 1992 al 2003 ha vinto sette titoli con le aquile, ha parlato dei suoi anni di presidenza: dagli inizi fino ai suoi calciatori preferiti, passando a retroscena su alcune trattative. L’intervista è andata in onda nella serata di oggi nel corso della trasmissione “Lazialità su LazioTv”. Di seguito le sue parole.
Presidente, innanzitutto come sta?
“Fisicamente sto migliorando. Ho avuto un intervento al San Raffaele lo scorso anno e sto recuperando lentamente. L’età c’è, però si va avanti”.
Quanto le fa piacere essere ancora fermato da tutti in città?
“L’affetto dei tifosi laziali mi fa un grande piacere, perché evidentemente rappresenta il riconoscimento di un grande lavoro fatto nel passato, dando un nome a questa società con tutti gli avvenimenti sportivi che ci hanno visti vittoriosi in quell’epoca. È una riconoscenza della tifoseria che a me fa piacere”.
Credo che quello scudetto di 25 anni fa rimarrà nella storia come uno dei più affascinanti per come è arrivato, è così?
“Sì, ha rappresentato un po’ tutta la mia vita rocambolesca e avventurosa. Certamente fu una grande avventura che ebbe quella fine che io non mi aspettavo assolutamente e, credo, neanche Eriksson in cuor suo ci sperasse più. Anche perché avevamo fatto geandu cose, ma c’era la Juventus che primeggiava e, dunque, fu una grande sorpresa”.
Possiamo dire che avremmo, ancora di più, meritato di vincere quello dell’anno prima?
“In definitiva avremmo meritato di vincere molto di più di quello che abbiamo vinto, però ci sono state grandi vittorie come quella della Supercoppa Europea col Manchester United, che ha dato alla Lazio un’immagine internazionae e mondiale”.
Che effetto le ha fatto sentire Ferguson definire la Lazio la squadra più forte del mondo?
“Ho il ricordo di Ferguson che disse che l’unico grande dispiacere della sua carriera fu quello di non aver battuto la Lazio e in quel tempo mi fece molto piacere”.
Fu suo fratello Giovanni a darle una spinta decisiva nell’acquisto della Lazio?
“Sì, perché io non mi occupavo assolutamente di sport o calcio, ma mio fratello era un grande appassionato e tifoso laziale, che andava ogni domenica allo stadio ed io qualche volta lo accompagnavo. È stato lui, nel momento in cui la società biancoceleste aveva bisogno di una guida, ad incoraggiarmi e a farmi fare questo grande passo. Mi dispiacque poi che lui non stette bene di salute e lasciò a me il fardello di guidare questa società e portammo avanti il nostro progetto, che era quello di diventare una squadra di carattere internazionale e anche primeggiare un po’ nella città di Roma, perché ci consideravano come una squadra provinciale. Dissi anche a Sensi di cercare di ottenere qualcosa da questo mondo e rivalutare un po’ la nostra città e quindi anche lui partecipò a questo progetto in cui le due romane andavano spesso insieme in Champions League di quei tempi. Franco Sensi fece dei grandi sforzi economici, ricordo ad esempio Batistuta”
Si è mai pentito di aver preso la Lazio?
“Non ho grandi pentimenti, ma a volte sono intervenuti fattori esterni che hanno creato complicazioni e fatto venire dei risentimenti nelle condizioni, ma il cammino è stato su un progetto sicuro in cui si voleva primeggiare”.
Su Gudo Paglia?
“Con Guido facemmo un grande lavoro nella comunicazione e nei rapporti esterni. Sono riconoscente per il lavoro che ha fatto. Dietro di me c’era una grande squadra di uomini e dirigenti capaci di rappresentarci a grandi livelli”.
Su Nello Governato?
“Fu un direttore sportivo di grosso livello e immagine. Un grande intenditore di calcio e di uomini, soprattutto del loro carattere. Dava dei grandi consigli e partecipava direttamemte con me nel dialogare con chi si voleva far entrare in società. C’era un’armonia completa con la dirigenza e quando c’è un risultato, questo non è solo di un uomo ma di una squadra che ottiene quello che si era prefissato”.
Su Eriksson?
“Eriksson veniva considerato come uno svedese a Napoli. Quando lo incontrai a Milano mi fece una grossa impressione: uomo pacato e tranquillo che sapeva dialogare e discutere sviscerando molto profondamente gli argomenti e analizzando pienamente quelli che erano gli obiettivi. Forse doveva avere in quel momento un braccio più forte per condurre una società a grandi vertici, forse con questo la Lazio avrebbe potuto ottenere qualcosa di più rispetto a ciò che ha ottenuto”.
E suu Dino Zoff?
“Dino Zoff è l’uomo che ci ha guidato per tanti anni nella nascita e nel percorso della Lazio. Il mio progetto per Dino era quello di farlo diventare un dirigente nel mondo del calcio, ma lui se la prese perché diceva di voler fare l’alllenatore e di vedersi in campo. Il suo nome in quel momento aveva una risonanza talmente grande che mi avrebbe permesso di entrare nei salotti della Fifa, Uefa ecc, ma lui non accettò questa proposta e per me fu una grossa pena, poi però fece molto bene. Ricordo quando ritornò alla Lazio dopo essere stato l’allenatore della Nazionale ed ebbe un diverbio con Berlusconi ed io lo accolsi a braccia aperte in quel suo ritorno. Credevo nelle sue qualità e capacittà nel dirigere le società”.
A distanza di anni sarebbe stato meglio cedere Signori al Parma?
“Fu un ritardo al progetto. Nessuno in quei tempi concepiva il fatto che uscisse un campione e ne entrasse un altro. Signori aveva dato un grande contributo alla Lazio con grandi risultati, ma in quel momento era necessario un cambiamento per la crescita della società. Ricevetti un’offerta di 25 miliardi di lire dal Parma. Ricordo che ci incontrammo con il presidnte Tanzi alla Banca di Roma mentre c’era una manifestazione contraria dei tifosi laziali a Via dei Capuccini. Io ero chiuso nella stanza della Banca di Roma con Tanzi che mi diceva che con l’assegno in mano mi diceva: ‘Che faccio, lo strappo o non lo strappo?’. Fu un giorno da ricordare, ma alla fine rinunciammo a cedere Signori”.
Qual era il campione della sua Lazio di cui era innamorato?
“Il mio campione preferito nel percorso è stato senz’altro Alen B0ksic, anche per il modo rocambolesco n cui lo abbiamo acquistato: Andammo a Marsiglia e fummo ricevuti nello yacht del presidente per discutere l’acquisto e fu un grande contributo che Alen diede al progetto. Ricordo quando nella prima partita che giocò a Napoli fece saltare i denti a Ciro Ferrara. Il croato fu un grande campione e uomo, forse con un carattere un po’ difficile da gestire che aveva bisogno di una cura particolare”.
Quanto siete stati vicini a prendere Ronaldo Luís Nazário de Lima?
“Eravamo vicinssimi. Credevamo di averlo preso, tanto che alla fine del campionato dissi ai 50.000 spettatori dell’Olimpico che l’anno successivo avremmo avuto un grande rinforzo nella nostra società. Io lavoravo in Brasile ed ero molto vicino alla famiglia di Ronaldo, conscevo i fratelli e i genitori. Avevamo avuto l’assicurazione, poi all’improvviso prima della firma arrivò Moratti col suo aereo personale che fece un’offerta che non potevamo eguagliare. Poi però rincontrai Ronaldo dopo il suo incidente e mi disse all’aeroporto che aveva il rammarico di non esser venuto alla Lazio. Fu un grosso compiacimento”.
La storia di Nedved?
“Pavel era attaccato alla Lazio, voleva restare e diceva anche che non sapeva vedersi con un’altra maglia. Era un grande professionista che si allenava anche per suo conto e cercava di perfezionarsi continuamente. Accettamo l’offerta arrivataci per lui dalla Juventus perché la ritenevamo funzionale alla crescita della società, ma lui in quel momento disse che non voleva andarsene. Tant’è che io chiamai Moggi e gli dissi che il giocatore non voleva venire. Poi improvvisamente ricevetti la telefonata del procuratore di Pavel da Torino che mi disse di andare lì perché l’offerta era stata anche aumentata da parte dei bianconeri e si poteva concludere l’affare. Io dissi che non volevo andare, perché per me valeva la parola che era stata data ma evidentemente altri avvenimenti portarono al cambio di squadra”.
Dopo dieci anni di Lazio Sergio Cragnotti iniziava a dare fastidio?
“Certamente, perché avevamo tolto il posto alle grandi squadre e quindi facevamo parte dei grandi giochi anche in Lega e nella Federazione. C’èra un riconoscimento nei confronti della società che ormai era considerata di alto livello e con cui bisognava fare i conti. Questo per me era un grosso piacere perché volevamo proprio questo. Forse in quel momento si poteva fare di più ma eravamo sul cammino giusto”.
Ci spiega perché il suo progetto stadio dei tempi non si è concretizzato?
“Credo che noi fummo i primi a portare la squadra in borsa. Il progetto poi non è stato voluto dalle grandi società e dal mondo istituzionale. Io credo che la quotazione può dare un grosso contributo alla crescita delle società sportive, però evidentemente qualcuno non lo appiggiava. La Juventus lo fece, Inter e Milan ci provavano ma non ci riuscirono. In quel momento avere uno stadio di proprietà era il secondo grande progetto su cui stavo lavorando. Avevamo portato un modello, fatto da ingegneri tedeschi, che fu presentato alla stampa a Formello. Era un progetto che conservo ancora. Il plastico è tutt’oggi a Montepulciano. In quel momento il Flaminio saltò perché ci fu una grande opposizione politica e gestionale che ci impedì di fare lo stadio, anche il Coni era contrario. Si pensò anche a fare lo stadio dove c’era la Centrale del Latte e trasfierire la Centrale a Frosinone. Le complicazioni istituziionali di quegli anni, parliamo di ’97/’98, erano molte”.
Crede all’attuale progetto Flaminio della Lazio?
“Credo che il presidente Lotito abbia in mano una grande carta in cui credere. Sarebbe l’ubicazione ideale in cui i laziali potrebbero ritornare nella loro casa a piedi. Credo che sia veramente un grande progetto”.
Due parole sul presidente Lotito?
“Gli mando un grande abbraccio e gli auguro di farci vedere una grande Lazio nei grandi campi di calcio e un in bocca al lupo per il suo futuro”.