Mino Caprio: “Sono diventato laziale grazie a mio fratello. Baroni? Merita le lodi”

Dalla fede laziale ereditata dal fratello, agli articoli per Lazialità. Mino Caprio, famoso doppiatore e attore, ha parlato ai microfoni di Lazialità, raccontando la nascita della sua fede, i ricordi legati ai biancocelesti, fino ad arrivare ad un analisi del momento attuale della squadra. Di seguito l’intervista completa:

Parliamo di Lazialità, qual è stato il suo rapporto con il nostro giornale?

«Mi sono trovato a scrivere degli articoli, non tantissimi, ma una buona raccolta. Quando venivano distribuite le copie cartacee allo Stadio Olimpico. Mi è dispiaciuto che Guido, nel pubblicare il suo libro, non abbia inserito il mio nome tra coloro che si adoperavano come articolisti in erba. Lazialità mi riporta indietro agli anni più belli, a quando andavo allo stadio con mio fratello, che purtroppo ho perduto nel 2005. Erano anni belli anche se per qualche anni abbiamo vissuto la Serie B. Non disdegno quel tipo di campionato cadetto, di averlo vissuto, perché ho visto moltissime città che non conoscevo, era bello anche vedere le tifoserie avversarie. A Pescara ricordo che c’era un astio tra tifosi, feci un titolo che recitava “Pescara l’astio” invece che Lazio. Mi ricordo tante belle trasferte, come Sanbenedetto, Brescia, Bergamo…
Il giornale mi riporta indietro soprattutto ai tempi in cui ero giovane. La Lazio mi è sempre appartenuta nel cuore, nella mia interiorità, presto sempre attenzione alla squadra nei momenti di pausa dal lavoro. È una vita parallela a quella da lavoratore, padre e marito, due vite che si toccano».

Come nasce la sua fede laziale?

«Mio papà era un grande tifoso della Roma. L’ho perduto nel 1960. Cercava di portare mio fratello, più grande di me di otto anni e mezzo, verso il tifo giallorosso. Lui però gradiva poco quella squadra e diventò della Lazio, anche perché molti dei suoi amici all’epoca erano laziali. Verso i cinque o sei anni era già tifoso. Lui ha visto giocare calciatori come Muccinelli o Janich e ha visto la prima Coppa Italia vinta. Io invece, essendo di un’altra generazione, ho visto una Lazio diversa, con Cei, Zanetti, Dotti, Carosi, Pagni, Gasperi, ma anche Rozzoni o Maraschi. Ricordo bene anche Vito D’Amato, un giovane romano, nato in realtà a Gallipoli. Il suo exploit, con sette reti in campionato, per noi era un’enormità. Perciò io sono diventato laziale grazie a mio fratello, i colori biancocelesti mi sono entrati dentro grazie a lui. Andavamo insieme allo stadio, quando l’ho perduto mi sono un po’ allontanato, la seguivo solo in TV. Grazie ai miei figli, Gabriele e Teo, mi sono riavvicinato successivamente.
Dentro di me la Lazio più bella è quella del 74’. Rappresenta per me la più grande, quella che ricordo maggiormente. Quella banda di eroi leggendari con a capo Maestrelli erano per me degli idoli. Con il passare degli anni ho potuto conoscere personaggi come Wilson, Oddi, Nanni, D’Amico, Facco, Pulici e Garlaschelli, che sono diventati veri e propri amici.
Subito dopo viene la Lazio di Fascetti, con Calleri presidente. Per noi quella salvezza, con meno nove punti, è stato uno Scudetto.
La Lazio di Cragnotti, che ha vinto tutto, è però al terzo posto per me. Non so spiegarvi la ragione. Come me, molti di quella generazione la pensano così, forse perché eravamo più giovani…»

Cosa pensa della Lazio di Baroni e del momento che sta attraversando?

«Io credo che la Lazio di quest’anno fosse inimmaginabile all’inizio. Io ero uno dei contestatori che a luglio si è ritrovato sotto lo Stadio Flaminio. Non sapevamo cosa ci avrebbe riservato il futuro, eravamo scettici su Baroni e sui calciatori che stavano arrivando. Ci immaginavamo una classifica modesta, da decimo posto. Improvvisamente però lo scetticismo si è vanificato, abbiamo visto un gioco eccellente, una Lazio strepitosa, con un girone di andata fantastico. Baroni si è dimostrato un tecnico preparatissimo, pur non avendo esperienze su panchine così importanti. Ora credo, nonostante ci sia un momento di defaillance, la squadra e il tecnico meritino le nostre lodi. Quello che posso criticare che non ci sono forti ricambi. Il duo Guendouzi-Rovella sono due polmoni che impostano e contrastano, magnifici. Anche loro però tendono a logorarsi.

Ci sono delle cose che mi stupiscono, come la scelta di schierare Mandas all’improvviso in campionato. È vero anche che Provedel stava attraversando un periodo non felicissimo, ma poi è tornato titolare anche in Europa. Non è stato ragionevole, lì avrebbe dovuto continuare ancora il greco.
L’esclusione di Pellegrini dalle liste di Serie A ed Europa League non l’ho capita, anche perché Tavares ha accusato delle problematiche muscolari, delle quali eravamo a conoscenza, altrimenti avrebbe giocato nel Real Madrid.
C’è carenza di punte, l’assenza di Taty si è sentita e Dia non ha sopperito, forse trovandosi meglio sulla trequarti, ma non sono un addetto ai lavori.
Se dovessi consigliare cosa fare per migliorare la rosa, direi che dovrebbe rimanere Isaksen. Gli è stato dato tempo per crescere, perciò mi auguro che lo stesso accada con Tchaouna.
Sulle fasce, visti i problemi di Tavares e le difficoltà evidenti di Lazzari, che non è più il calciatore che conosciamo, se intervenissimo sarebbe ottimo. Anche a centrocampo penso che servirebbe un innesto, Casadei sarebbe stato perfetto, ma anche Belahyane può dire la sua.
Alla Lazio manca una cosa che tutte le altre hanno: un top player. Mi riferisco a calciatori come Paulo Dybala alla Roma o Nico Paz a Como. Servirebbe uno come Luis Alberto, un fantasista, nel panorama estero si può trovare un giocatore così».

Se la squadra fosse chiamata ad una scelta, preferirebbe andare avanti in Europa o continuare a lottare per il quarto posto in campionato?

«Sono contrario agli aut aut. Ci sono nove finali da giocare, i ragazzi devono stringere i denti e andare avanti. Mi farebbe piacere arrivare quarto, la Juventus è in discesa, il Bologna è forte, ma non è il Real Madrid. In Europa avremo il Bodo, che non è quello che affrontò la Roma, con pessimi ricordi per i giallorossi. Dobbiamo passare il turno, superare questi quarti. Tutte e due le strade si devono portare avanti e vedere che risultati avremo».

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