Cari fratelli laziali,
in attesa della prossima e decisiva sfida col Bologna, vi riportiamo indietro di una trentina d’anni.
Non stavamo vivendo un momento particolarmente esaltante ma perlomeno vivevamo nella sicurezza di una Società Sportiva Lazio impostata sul rigore e sul controllo dei numeri. Correva l’anno 1991, quella domenica del 24 febbraio eravamo arrivati al terzo anno consecutivo in Serie A. All’epoca, era una notizia. Era la conferma di essere riusciti a voltare pagina. Avevamo fatto registrare un dato statistico che non si osservava dalla stagione 1979-80.
Cosa stavamo facendo nel febbraio del ’91?
Il mood è di ansia collettiva. Siamo spaventati dalla guerra a due passi da casa nostra. È cominciato tutto il 2 agosto, nemmeno un mese dopo dalla chiusura di Italia ‘90.
L’Iraq ha invaso il piccolo emirato del Kuwait e se lo è annesso. La comunità internazionale ha reagito in modo globale. Per la prima volta nella nostra vita, possiamo osservare la guerra in diretta televisiva. Influenzati e suggestionati da una cappa di generale ed allarmistico pessimismo, abbiamo preso d’assalto i supermercati. Le televisioni diffondono quotidianamente immagini di connazionali in lacrime, angosciati da un conflitto a sole tre ore di volo da casa nostra. Non ce ne stiamo rendendo conto ma siamo tutti inconsapevoli protagonisti di un evento mediatico che segnerà uno spartiacque nella storia dei media. Con la possibilità di una guerra alle porte, il calcio, per la prima volta, non è più al primo posto nella testa degli italiani.
Però oggi è domenica e qualsiasi cosa ci riserverà il destino, la nostra Lazio giocherà a Bologna. È una di quelle giornate in cui il sole è pieno, il cielo è colorato interamente d’azzurro ma si muore di freddo lo stesso.
Siamo arrivati alla giornata numero 22 e stiamo tentando un ritorno in Europa, 14 anni dopo la disfatta di Lens.
Incontreremo un Bologna disperato. Hanno perso i loro giocatori migliori – tra i quali anche Bruno Giordano che ha preferito chiudere ad Ascoli – e si ritrovano con mezza squadra in infermeria.
Gigi Radice ne ha viste tante nella vita e ha deciso di giocarsi la carta della gioventù. Manderà in campo un plotoncino ricolmo di ragazzini: Cusin, Biondo, Villa, Mariani, Negro, Di Già, Schenardi, Verga, Turkyilmaz, Notaristefano e Waas.
Il nostro Dino Zoff sembra ringiovanito. Il barbiere gli ha indovinato il taglio giusto e lui si avvia con passo sicuro verso la panchina. In campo stanno andando Fiori, Bergodi, Sergio, Pin, Gregucci, Soldà, Bacci, Troglio, Riedle, Sclosa e Sosa.
Già dai primissimi minuti, si capisce che stiamo incontrando un Bologna davvero modesto. Giochiamo praticamente da soli e al 22′ andiamo in vantaggio. Sosa è disceso sulla sinistra, ha passato a Riedle che con facilità ha anticipato l’incolpevole Cusin. 1 a 0, finalmente Riedle è riuscito a segnare anche in trasferta. Lo ha fatto a Bologna, contro i giovanissimi rosso-blu che ora sembrano nel pallone, continuando a commettere errori elementari.
Sei minuti più tardi, Troglio pesca Sclosa in area, Cusin è fuori causa ma sulla linea di port c’è un ragazzino del Bologna che riesce a sventare il pericolo con la calma di un veterano. È giovanissimo ma di lui, sentiremo parlare presto. Si chiama Paolo Negro.
Ogni volta che affondiamo diamo la sensazione di poter raddoppiare.
Sosa al 44′ pecca di sufficienza, a tu per tu con Cusin, che si salva con una respinta che ha del surreale. Trenta secondi più tardi, Cusin è nuovamente superato da un pallonetto di Pin che viene fermato in extremis da Villa.
Secondo tempo.
Il Bologna prova a reagire. Le sue sono solo azioni sconclusionate. Siamo sempre noi a comandare il gioco e a fallire tutti i tentativi di mettere al sicuro il risultato.
La giornata del povero Bologna di quel giorno si chiuderà al 78’. Cusin appare demoralizzato, ha giocato con la febbre addosso e ormai si è scomposto del tutto. Rinvia corto, proprio sui piedi di Sosa.
Dopo essersi divorato due gol, Ruben non può rifiutare il regalo che gli ha offerto il portiere.
Fa male a tutti vedere un Bologna così a terra. Si intenerisce anche l’arbitro Baldas, che convalida il gol a Turkyilmaz nonostante fosse in fuorigioco di oltre un metro.
Manca poco, Zoff si è alzato in piedi. Non ha un’espressione distesa. Ha visto i suoi sbagliare cinque gol.
Baldas concesse un minuto di recupero, il tempo giusto per il Calcio di quell’epoca. Non c’erano le televisioni e avere un quadro un po’ più completo dovevamo attendere la Domenica Sportiva. Ricordo una bella sensazione mentre osservavo il servizio di Franco Costa, l’inviato della Rai. Aveva intervistato due bolognesi di assoluta eccellenza, Gianni Morandi e Lucio Dalla.
Come suo solito, nonostante la sconfitta, Morandi era sorridente. Affermò senza mezzi termini che la sua squadra era destinata alla B ma che Bologna avrebbe continuato ad essere una città di serie A. Dalla invece, era stato intervistato durante l’intervallo. Il grande, immenso Lucio Dalla, un po’ sconsolato, dichiarò a Costa che il suo piccolo Bologna si stava trovando al cospetto di una “grande” squadra.
Grande! Da quanto tempo qualcuno non utilizzava questo aggettivo per descrivere la nostra Lazio? Lucio Dalla ci fece questo regalo, facendoci sentire più importanti, tifosi di una squadra che tornava ad essere annoverata, finalmente, tra quelle da rispettare.
Alla fine, il suo Bologna retrocesse in serie B. La Lazio, nonostante i tanti passi in avanti, frutto dell’intelligenza e dell’intuito di Gianmarco Calleri, sarebbe rimasta nel limbo dell’anonimato, ai margini di un campionato di transizione, sonnacchioso, non certo da tramandare ai posteri.
Invece, per quanto riguarda la musica che ascoltavamo in quei giorni, potremmo parlarne per ore, ai nostri figli e ai nostri nipotini.
Scopriamo insieme la classifica dell’hit parade del sabato che precedeva questo Bologna Lazio.
Al primo posto incontravamo Sadeness. Era un pezzo molto interessante, un esperimento di contaminazione tra stili viversi, opposti e a tratti complementari. Lo aveva ideato un gruppo musicale tedesco, gli Enigma. Il brano era stato composto utilizzando in modo massivo un canto gregoriano dal titolo Procedamus in pace. Lo aveva registrato nel 1976 un coro tedesco, i Capella Antiqua München, per immetterlo sul mercato discografico in occasione del periodo pasquale. In seguito al successo di Sadeness, il coro denunciò Michael Cretu, la mente pensante degli Enigma, accusandolo di aver utilizzato i campionamenti vocali in modo indebito e senza il loro assenso. La lite si chiuse con un accordo economico tra le parti. Cercate il pezzo in rete! La voce femminile che sussurra nel brano appartiene alla cantante Sandra, all’epoca moglie di Cretu. Il testo è una riflessione sul Marchese de Sade e sui suoi desideri sessuali, che determinò la scelta del titolo, Sadeness, un gioco di parole tra Sade, Sad e Sadness.
Atmosfere decisamente meno conturbanti con la canzoncina in seconda posizione. Stiamo parlando di Ti spacco la faccia, eseguita da Antonio Ricci sotto le mentite spoglie del Gabibbo. Questa cosa qui, vi invitiamo a non riascoltarla. Non fatelo, per favore.
Dalla posizione numero tre in poi, è un susseguirsi di grandi pezzi. Una serie di canzoni che sarebbero divenute senza tempo.
Al numero tre proprio Lucio Dalla, con tutta la delicatezza di Attenti al lupo. Posizione numero quattro per una delle band più famose di tutti i tempi. I Queen erano alle prese con la gestione dei problemi di salute di Freddie Mercury. La loro Innuendo suonerà come una risposta alle insinuazioni che i media stavano rivolgendo al loro frontman. Posizione numero cinque per un Raf che, con Interminatamente, voleva ricalcare le linee melodiche di Cosa resterà di questi anni Ottanta. Al numero sei, Falling, l’ipnotica e suadente colonna sonora di Twin Peaks, scritta da Angelo Badalamenti per Laura Palmer.
Posizione numero sette per uno dei giganti della canzone italiana, quel Pino Daniele che con il suo ‘O scarrafone, continuava a tenere i fari puntati su tematiche a lui care, presenti nei suoi dischi fin dai tempi di Terra mia. Ottava posizione per un altro interessante esperimento. Quello di Vanilla Ice, il rapper statunitense che con Ice Ice Baby sfornava un singolo che lo consacrò fin dal debutto. Robert Matthew Van Winkle, questo il nome del rapper, aveva campionato la linea di basso di Under Pressure, il successone della band Queen + David Bowie, che gli usò la cortesia di non pretendere una sterlina di royalties fino a quando il disco non sarebbe divenuto un successo di vendite.
Anche sul disco al nono posto in classifica vorrei spendere qualche parola in più. Perché Crazy, composta da Seal alla fine del 1990, conteneva un che di profetico. Seal lo scrisse ispirandosi alla caduta del muro di Berlino e alla protesta di piazza Tienanmen, eventi accaduti entrambi l’anno prima. Ad un quarto di secolo di distanza, Seal avrebbe dichiarato che mentre componeva Crazy, avvertiva nell’aria il cambiamento del mondo. Sentiva che alcune certezze stavano crollando e percepiva la mutazione di molte cose, anche di quelle fondamentali e profonde. Anche da noi Crazy fu un enorme successo commerciale. Raggiunse la Top 5 nel Regno Unito e la Top 10 negli Stati Uniti.
A chiudere una classifica ricolma di gemme, Sting e la sua briosa All this time. Nonostante la musica scorresse allegra e veloce, il testo della canzone occultava significati malinconici. Il brano era infatti incentrato sulla morte del padre di Sting. Su questi ricordi, la tensione è allentata dalla melodia decisamente allegra. L’artista aveva esattamente questa intenzione: combinare un soggetto oscuro con una musica veloce. Per quanto le parole e parti delle frasi potessero apparire surreali, rappresentavano immagini reali, cristallizzate nei ricordi che Sting conservava sulla sua città natale. I traghetti, i preti, i cavalli da tiro. Sting era cresciuto tra i cantieri e da quei luoghi fangosi voleva scappare, rifugiandosi tra gli ameni paesaggi dei suoi sogni.
Domenica pomeriggio a Bologna sarà una partita da dentro o fuori. Alla prossima, con una nuova puntata di Musica&Lazio, ancora qui, su Lazialità.
Ugo Pericoli