Lazio&Musica, quell’aprile del ’77, tra Finardi, Agostinelli, Keith Emerson e Giordano

Cari fratelli laziali,

sdegno.

Sdegno per quanto accaduto martedì sera a Milano contro l’Inter.

Una Lazio molto più concentrata rispetto a quella che aveva affrontato l’Inter in campionato, è uscita sconfitta in una partita che aveva ben giocato, a tratti dominando un avversario che l’aveva presa sottogamba. Secondo il sottoscritto, a mio modesto parere, l’atteggiamento dell’arbitro Fabrri è stato intimidatorio (soprattutto nei confronti di uno scatenato Isaksen) mentre gli addetti al controllo var hanno mantenuto un contegno che potremmo definire pilatesco. Fra poche ore incroceremo il Milan, ancora a San Siro, in questo stadio che dal di fuori sembra tanto figo e che invece, una volta all’interno, si rivela vetusto, scomodo e troppo ripido.  

Adesso però vorrei riportarvi ad una partita davvero bella. Eravamo nel bel mezzo di un ponte di primavera, era il 24 aprile del ’77. Andavamo a Milano per giocarcela col Milan, per la 26° giornata del Campionato di Serie A.

Il sole spendeva sul prato di San Siro, facendo luccicare le divise delle due formazioni. Maglie rigorosamente artigianali, in lanetta naturale e splendente. A strisce rossonere le loro, biancocelesti le nostre, quelle magliette, da sole, valevano il prezzo del biglietto. Era una Lazio in crescita. Avevamo chiuso male marzo, con la bruciante sconfitta nel derby (super-goal di Bruno Conti, nell’unico tiro dei giallorossi in tutta la partita). Da quel momento in poi, abbiamo inanellato una serie di risultati positivi. Merito del bagno di umiltà post-derby, del profilo basso e del “zitti tutti e pedalare”.

Andiamo a Milano con leggerezza, perché abbiamo poco da perdere e molto da vincere. Che Milan attendersi? I rossoneri stanno attraversando un periodo di involuzione. Non vincono uno scudetto da dieci anni, nonostante annoverino tra le proprie fila fuoriclasse come Albertosi, Rivera e Capello. Raramente riescono a riempire lo stadio. Non lo faranno nemmeno quella domenica.

L’allenatore del Milan è una maschera ottocentesca. Si chiama Nereo Rocco e dispone della formazione tipo: Albertosi, Collovati, Maldera, Anquilletti, Bet, Biasiolo, Morini, Capello, Bigon, Rivera e Calloni. Insomma, un nutrito gruppo di vecchie volpi, due vicecampioni del Mondo a Mexico ‘70 e un imberbe e riccioluto ventenne. Ne farà di strada, Fulvio Collovati. 

La Lazio è stata affidata a Luis Vinicio. ‘O Lione ha salutato le colline del Vomero per accasarsi sulla Collina Fleming. Manda in campo il meglio che ha in rosa, inclusi tre giovani primavera. Pulici, Ammoniaci, Martini, Polentes, Manfredonia, Cordova, Renzo Rossi, Agostinelli, Giordano, Viola e Badiani. In panchina, seduti accanto a lui, il portiere Garella, Ghedin e Totò Lopez.

I milanesi partono sparati. La prima occasione però capita a noi intorno al decimo minuto: Agostinelli, ben imboccato da Giordano, cincischia sul più bello. Sul rovesciamento di fronte prendiamo goal. Lo segna Bigon, di testa, abbastanza immeritatamente per quanto si era visto fin lì. Bigon ha raccolto un cross di Calloni su calcio d’angolo e ha insaccato con facilità.

Il Milan appare concentrato – dopo mesi di abulia – siamo spesso in difficoltà sulle loro ripartenze. Ma ci siamo anche noi e al 20′, Renzo Rossi scalda le mani ad Albertosi, che riesce a salvare proprio sulla linea. Segna ancora il Milan al 24′ ma il signor Agnolin da Bassano del Grappa è ben piazzato e annulla senza esitazione. Stiamo giocando alla pari col Milan ma alla mezz’ora facciamo la frittata: fallo su Bigon appena fuori area. Piazziamo una microscopica barriera, con Giordano e Agostinelli che non si sono accorti che Fabio Capello ha già passato il pallone a Rivera.

Il suo diagonale è uno di quelli mortiferi, alla Rivera appunto. Felice Pulici ci resta secco, 2 a 0 per il Milan, la partita sembra chiusa.

Verso la fine del primo tempo proviamo a rimediare. Errore di Rivera, palla a Viola, tocco a Badiani, gran tiro di Giordano, che segna un gran bel gol che fa gonfiare la rete di Albertosi.

Secondo tempo.

Calloni si divora il tris: cross di Rivera, Calloni aggancia perfettamente ma a tu per tu con Pulici si smarrisce. Tenta una soluzione a effetto ma sbaglia mira. I nostalgici di Pierino Prati gli urlano di tutto. Siamo intorno al 20’ e la meglio gioventù laziale sta venendo fuori alla distanza. Le chiome bionde di Andrea Agostinelli non passano di certo inosservate, e quando il numero 8 crossa verso il centro in cerca dell’accorrente Giordano, lo stadio trattiene il fiato. Giordano non ci pensa su due volte, tiro, pareggio. Sul 2-2, da quel momento in poi, iniziò la nostra rincorsa verso un impensabile piazzamento-UEFA.

Fu una gran bella stagione. Dalle ceneri della sconfitta nel derby, a fine marzo, sbocciarono i fiori di Agostinelli, Manfredonia e Giordano. Ancora oggi, questo trio costituisce un unicum. Perfino al tempo dell’autarchico calcio di allora, mai si erano visti tre elementi provenienti dalla Primavera, diventare titolari inamovibili in una squadra di serie A nel corso della stessa stagione.

Per quanto riguarda la musica, possiamo affermare che quel che ascoltavamo tra il 1976 e il 1977, fosse veramente musica di qualità?

Ebbene, secondo noi, anche in fatto di musica, fu una gran bella stagione. Questa era la classifica dei 33 giri più venduti sabato 23 aprile 1977, il giorno prima del Milan Lazio che abbiamo appena rivissuto.

Al primo posto, Io tu noi tutti di uno stratosferico Lucio Battisti. Al secondo, l’artista rivelazione del biennio, Angelo Branduardi. L’album Alla fiera dell’Est resterà negli annali, con il suo inconfondibile suono dal sapore medioevale. Terza posizione per Solo, il disco che un ispiratissimo Claudio Baglioni compose interamente da sé.

Animals, dei leggendari Pink Floyd, era in quarta posizione. Animals uscì dopo due anni di silenzio da The dark side of the moon. Un’opera che aveva lasciato stupefatto il mondo intero, anche al di fuori del perimetro della musica rock. Era un concept album, ideato da Roger Waters, ed era incentrato sulle condizioni sociopolitiche del Regno Unito durante gli anni Settanta. L’album venne registrato e prodotto dallo stesso gruppo presso i Britannia Row Studios di Londra tra la fine del ‘76 e il gennaio ’77. In questo periodo vennero alla luce i primi contrasti tra i quattro componenti del gruppo, culminati nel 1979 con l’allontanamento del tastierista Richard Wright; l’immagine di copertina, un maiale che vola fra due delle ciminiere della centrale elettrica londinese Battersea Power Station, fu ideata da Waters e realizzata dal fotografo Storm Thorgerson. Animals venne considerato, per molti anni, un lavoro minore dei Pink Floyd, che vennero accusati di disimpegno compositivo. In effetti, erano molto occupati dalle tournee internazionali, stancanti ma assai remunerative. Il tempo ha restituito a questo lavoro il suo giusto valore. Perché, anche Animals, era un capolavoro. 

Al quinto posto Songs in the key of life, di Stevie Wonder, un artista ancora non molto popolare in Italia. Seguiva lo stucchevole Love in C minor di Cerrone. Devo confessarvi che non sono mai riuscito a spiegarmi il successo ottenuto da Cerrone in quel periodo. La sua canzone era scialba e ripetitiva, con una linea melodica molto insufficiente. Stessa cosa potremmo affermare su Life is music delle Ritchie Family. Le ho sempre ritenute noiose. Al tempo, la vera essenza della Disco era incarnata da Donna Summer. E dai Bee Gees naturalmente, ma tempo al tempo.

In settima posizione, Works volume 1, un capolavoro firmato Emerson Lake & Palmer. Uno dei dischi – a mio parere – fondamentali, per comprendere il mood dei Settanta. L’album era doppio, delle quattro facciate, solo una era attribuita al trio, mentre in ciascuna delle altre, uno dei tre musicisti proponeva materiale proprio. Il lato A del primo disco è a nome Keith Emerson e presenta Piano Concerto No.1, un concerto classico per pianoforte e orchestra. Emerson si avvalse della collaborazione della London Philharmonic Orchestra diretta da John Mayer. Greg Lake, sul lato B del primo disco, offriva cinque pezzi nel suo tipico stile, fatto di romanticismo e richiami classici. Esemplificativo in questo senso è il brano C’est la vie. Anche Lake utilizzava un’orchestra, in questo caso l’Orchestre de l’Opéra de Paris diretta da Godfrey Salmon. Il lato A del secondo disco era di Carl Palmer. I lavori del batterista, interamente strumentali, si basavano prevalentemente su atmosfere a metà strada tra il jazz e il rock ed includevano due rielaborazioni di brani classici: la rilettura in chiave rock di un estratto dalla Scythian Suite di Prokof’ev e la trascrizione per marimba e archi di una Invenzione a due voci di Bach. Il brano L.A. Nights vedeva la partecipazione di Joe Walsh degli Eagles alla chitarra, mentre Keith Emerson vi suonava le tastiere. Food for Your Soul era un brano per big band che offriva a Palmer il pretesto per virtuosismi solistici alla batteria. La quarta facciata, infine, vedeva il gruppo al completo eseguire due lunghi brani: lo strumentale Fanfare for the Common Man e Pirates. Anche in questi brani veniva impiegata l’Orchestre de l’Opéra de Paris condotta da Salmon. Il direttore seguirà il trio anche nei concerti con orchestra del 1977 e collaborerà tre anni più tardi ancora con Emerson per le parti orchestrali della colonna sonora del film Inferno, di Dario Argento.

Nona posizione per Diesel. Anche il lavoro di Eugenio Finardi è un valido testimone in grado di descrivere la situazione che si viveva nelle città italiane nel ‘77. Quasi tutti i brani, infatti, si caratterizzavano per testi che evidenziavano il forte coinvolgimento politico dei musicisti del tempo, come in Tutto subito, Scuola, Non diventare grande mai o Giai Phong, sulla liberazione di Saigon e la sconfitta americana nel Vietnam. In decima posizione, la leggerezza di Zodiac lady di Roberta Kelly. Un disco normale, niente di straordinario. Tuttavia, più che la fortuna della cantante, il disco funzionò come prova generale per il progetto di Giorgio Moroder, l’uomo che avrebbe fatto diventare la Disco Music europea importante (superiore?) a quella made in U.S.A.   

Insomma, cari fratelli laziali. Nel ‘77, con Giordano Agostinelli e Manfredonia vivemmo una gran bella Lazio, che a tratti ci fece anche sognare. Andavamo in giro per Roma, le radio irradiavano suoni indimenticabili, di struggente ed elegante bellezza.

So cosa state pensando. Ma non è il caso di fare confronti. Oggi prevalgono altri gusti, le linee melodiche sono assai rare, quando non addirittura assenti. Lungi da me farvi rimpiangere quei tempi, piuttosto vorrei invitarvi a riscoprire alcuni dischi, intelligenti e importanti.

Credo sia utile conoscere la storia di alcune canzoni per comprendere appieno il mondo della musica attuale. Quanto alla passione per la nostra squadra, sostengo sia fondamentale conoscere i pilastri su cui fonda la Lazialità, imparando a conoscere i fatti storici, non limitandosi al sentito dire. Questi comportamenti, lasciamoli ad altri.

Domenica dovremo fare la gara perfetta e sperare anche in un po’ di buona sorte.

Buona Lazio a tutti,

Ugo Pericoli

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