Lazio&Musica, quella Lazio del ’62, tra Peppino di Capri, Seghedoni, Tony Renis e l’errore del secolo

Cari fratelli laziali,

in questi giorni si fa un gran parlare di errori arbitrali. Le contestazioni della maggioranza dei tifosi fanno leva sulle valutazioni degli arbitri e degli addetti al controllo VAR, che risultano essere sempre troppo soggettive e incoerenti. A noi, che abbiamo una certa, e che dovremmo averci fatto il callo, questa situazione ci ha fatto tornare in mente un errore arbitrale che ebbe dell’incredibile. State a sentire cosa accadde il 4 marzo 1962.     

Ci troviamo allo Stadio Flaminio, è domenica e sono le tre in punto. Piove che Dio la manda. Lazio e Napoli stanno per incontrarsi nella XXV giornata del Campionato di Serie B.

Fino a quel punto, abbiamo raccolto abbastanza delusioni, sia noi che i partenopei, ma siamo pienamente in corsa per l’ultimo posto disponibile per la risalita nella massima serie. Mancano ancora due mesi alla conclusione del campionato ma indubbiamente, per Lazio e Napoli, attardate in classifica, è una partita da dentro o fuori. Il Napoli è andato in ritiro in un albergo a Grottaferrata. Anche noi siamo in clausura, per tentare di trovare la giusta concentrazione e nuova linfa.

Se i campani hanno optato per i Castelli noi abbiamo scelto l’alto Lazio: da martedì mattina, Morrone &. Co sono in ritiro ad Acquapendente. A guidare la Lazio, non c’è nemmeno un allenatore vero e proprio. Le cose sono andate così: Paolo Todeschini, l’allenatore di inizio stagione, è stato esonerato. Per la sua sostituzione, il pittoresco presidente Costantino Tessarolo, ha posto al vertice tecnico il segretario amministrativo della S.S Lazio, Alfonso Ricciardi. Questi inizialmente rifiuta ma poi, viste le insistenze e i modi un po’ naif del suo presidente, cede alle lusinghe e tenterà di riportarci in Serie A.

Quel 4 marzo scendiamo in campo con Cei, Noletti, Eufemi, Carosi, Seghedoni, Mecozzi, Longoni, Gasperi, Landoni, Morrone e Maraschi. Il Napoli è allenato da un argentino emergente. Si chiama Bruno Pesaola, è soprannominato il Petisso. Le vistose borse sotto gli occhi fanno da contorno alla sua fama di duro.

Manda in campo Pontel, Molino, Mistone, Bodi, Schiavone, Girardo, Gilardoni, Ronzon, Corelli, Fraschini e Tacchi.

Quando quando tornerai, si domandava in quei giorni un Tony Renis all’apice del successo.

I Laziali si pongono una domanda simile, chiedendosi quando quando torneranno in Serie A. Per il momento sono in piedi e sotto la pioggia in un Flaminio che è come un catino ricolmo d’acqua, con 40.000 cristiani pigiati come sardine. Il Flaminio potrebbe contenerne al massimo 37.000: considerate i rischi per le persone legato al carico strutturale. Si gioca ai piedi dei Parioli ma sembra di stare a Fuorigrotta. Infatti, quasi la metà del pubblico è composto da tifosi del Napoli, che hanno organizzato un sabba infernale con mortaretti, castagnole e tric e trac.

Nell’esplodere, i botti vanno a formare una nebbia leggera, che la pioggia pulisce velocemente. Il terreno è in condizioni pessime, la visibilità non è certo delle migliori. L’inizio è per il Napoli, con un tiro d’assaggio dell’azzurro Ronzon che termina fuori. Rispondiamo al 5′ con Longoni, ma la mira è da rivedere. Poi, un non facile intervento di pugno di Cei su Tacchi. Una bella punizione di Morrone impegna Pontel in un grande balzo. All’11’ il Napoli si fa nuovamente insidioso con Tacchi, con una girata che lambisce il montante. L’azzurro Bodi si fa male e inizia a zoppicare vistosamente. Sebbene giochino sostanzialmente in dieci, i partenopei non demordono: Corelli impegna Cei in una risposta in angolo. Più tardi è Molino a sbrogliare una difficile situazione per i napoletani. Al 27′ colpo di testa di Gasperi su punizione calciata da Carosi e pallone che sbuccia la traversa. Secondo tempo: al 52′ occasionissima per il Napoli, conclusione a rete di Tacchi e Mecozzi ribatte con un piede evitando che il pallone gli tocchi involontariamente la mano. Quando manca meno di mezz’ora ci buttiamo in forcing: Pontel è lesto nel precedere a terra Longoni ma Maraschi svirgola dal limite l’invitante pallone. Sul finire, l’episodio che vi abbiamo anticipato. Siamo arrivati al 76′: il signor Rigato comanda una punizione a nostro favore. C’è stato un fallo di Girardo su Longoni. Due dei nostri parlottano su chi tirerà: Eufemi finta il tiro e Seghedoni scaglia la freccia. Il pallone supera la barriera e termina in rete sotto la traversa. Il Flaminio laziale esplode in un boato, mentre Pontel crolla a terra, come se la freccia di Seghedoni l’avesse trafitto veramente.

L’arbitro indica il centro del campo e invece accade l’incredibile: il guardalinee, rimasto fermo con la bandierina alzata, ha indicato rimessa dal fondo. Quella freccia di Seghedoni, infatti, ha terminato la sua corsa fra le braccia di un raccattapalle, appostato dietro la porta.

Rigato corregge il suo giudizio e indica rimessa dal fondo. A quel punto, tutti i laziali si gettano intorno all’arbitro come furie, portandolo in prossimità della porta che aveva la rete bucata.

Convulsamente, individuano il foro e lo mostrano a Rigato.

Rigato è irremovibile: indica la rimessa dal fondo per il Napoli. La partita finirà così. Nel 1962 non esistevano né la VAR né la Domenica Sportiva. A sera, dopo Carosello, le immagini televisive mostreranno il gol di Seghedoni, peraltro effettuato in bello stile.

Il giorno dopo tutti i giornali, anche quelli non sportivi, saranno concordi nel confermare la dinamica dei fatti.

La Lazio scrisse un duplice esposto alla Lega Calcio, sottolineando sia il macroscopico errore della terna arbitrale, quanto il fatto che l’obbligatorio controllo delle reti nel prepartita, non fosse stato effettuato per omissione dell’arbitro stesso.

Come da migliore tradizione quando si parla di ingiustizie, la Lazio dovette subire in modo spropositato.

Perché, in quel torneo così equilibrato in cui solo il Genoa fece un campionato a sé (54 punti in 38 gare) ottenendo la promozione con sei giornate d’anticipo, la conquista della massima serie fu questione di millimetri. Era un Napoli molto forte che avrebbe perfino vinto la Coppa Italia.

Ingiustamente, il Napoli concluse il torneo al secondo posto in classifica con 43 punti (parimerito col sorprendente Modena). Noi chiudemmo con un punto in meno, a 42.

Assistemmo a quel furto inermi, senza nessuno a difenderci, lontani da tutto e da tutti.

Oggi il gol di Seghedoni sarebbe stato convalidato immediatamente e la rete riparata all’istante.

Rimanemmo in serie B, inaugurando una serie di “sfortunate coincidenze” con le terne arbitrali, situazioni che, quando c’è la Lazio di mezzo, diventano sempre proverbiali.   

Per quanto incavolatissimi, anche in quella situazione c’era la Musica a distrarci. La classifica dei 45 giri più venduti il giorno prima di quel Lazio Napoli era la seguente:

al 1° posto, Tango italiano di Milva. Seguiva appunto Quando quando quando di Tony Renis, un uomo, un mito. In terza posizione, un malinconico Domenico Modugno vendeva montagne di dischi con Addio… addio. Andatura decisamente più briosa con Peppino di Capri e l’ondeggiante Let’s twist again, portata al successo da Chubby Checker l’anno prima. In quinta posizione Wheels di Billy Vaughn, che precede due pezzi targati Adriano Celentano: al 6° posto incontriamo infatti Nata per me mentre al 7°, ancora il Molleggiato con Peppermint twist, altra cover del successo di Joey Dee and The Starliters chiamato Doin’ the Twist at the Peppermint Lounge, omaggio all’omonimo locale di New York dove era nato il famoso ballo.

Ottava posizione per The jet, del lanciatissimo Peppino di Capri mentre in nona, spazio al romanticismo e alla magia di Colazione da Tiffany – Moon river – eseguita alla perfezione dal riservato (e timidissimo) Nico Fidenco.

Ritenuto l’inventore dei “tormentoni estivi”, Domenico Colarossi, questo il suo vero nome, era davvero molto timido. Sebbene si proponesse sempre in maniera impeccabile, elegante e raffinata, non desiderava apparire sulle copertine dei suoi dischi, preferendo che ci fossero delle belle ragazze.

Chiudeva questa sognante Top10, Sergio Bruni con Gondolì gondolà, la cui musica era stata scritta nientemeno che da Renato Carosone. Ascoltandola alla luce dei nuovi canoni estetici, oggi appare ingenua e datata. Al festival di Sanremo del 1962 si classificò al terzo posto ma balzò immediatamente al secondo posto della hit parade, dove restò per oltre tre mesi. Ebbe un ottimo successo anche a livello internazionale. Furono realizzate numerose cover in diverse lingue. Fu anche lanciata da Pat Boone negli Stati Uniti e vogliamo ricordarvi anche la (notevole) versione in olandese di Caterina Valente.

Sabato sera ci attende un Napoli determinato a preservare intatta la sua posizione in classifica. Seppur rimaneggiati, i partenopei stanno attraversando un grande momento.

Servirà quindi la Lazio nel suo formato migliore. Per Musica&Lazio è davvero tutto.

Ci vediamo sabato, tutti allo stadio!

Ugo Pericoli  

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