Cari fratelli Laziali,
oggi vi riportiamo indietro di cinquantaquattro anni. Esattamente alla domenica del 22 marzo del 1970. Si
sta concludendo il decennio più “mitico”, i favolosi “anni Sessanta”. La società italiana sta attraversando la
più rilevante trasformazione socioculturale del Novecento. Gli studenti scendono in piazza, i movimenti
operai e sindacali annunciano scioperi a singhiozzo, lanciando segnali potenti a chi vuol preservare lo status quo. Le agitazioni che fermano il Paese diventano un fenomeno di costume che, oltre ad interessare i sociologi e gli analisti, solletica l’immaginazione di artisti e cantanti.
In particolare, Adriano Celentano sembra il più veloce nel catturare l’essenza del momento. È infatti già
uscito il suo ultimo 45 giri che, con ironico tempismo, ha intitolato Chi non lavora non fa l’amore. Tutti ne
canticchiamo il motivetto. La sua canzone è diventata molto popolare, la conosce anche l’allenatore della
Lazio! Chi non lavora è prima in classifica e oggi la sta ascoltando tutta la squadra, sul pullman, mentre sta raggiungendo l‘albergo scelto per il ritiro. Il giorno dopo ci toccherà l’Inter, e Juan Carlos Lorenzo ha
predicato calma y concentración, dal momento che i nerazzurri saranno più che determinati. Si stanno
infatti giocando le ultime carte per provare a raggiungere il Cagliari, lanciato in fuga verso la conquista di
uno storico scudetto.
Altri tempi, altre Lazio. Il tempo, molto romantico e quasi pioneristico di Umberto Lenzini, che sta
provando anch’egli a sconvolgere lo status quo del sistema-calcio, per far tornare in alto la squadra più
antica della città.
Mancano cinque partite, è la XXV giornata del Campionato 69-70.
Lorenzo manda in campo Rosario Sarìn Di Vincenzo, Habemus Papadopulo, capitan Wilson, il Professor
Governato, Baffo Polentes, mister Marchesi, il Viceré di Napoli Peppino Massa, Ferruccio Mazzola,
Giorgione Chinaglia, Gian Piero Ghio e il Gaucho Morrone.
L’Inter di Heriberto Herrera è il solito squadrone: Vieri, Bedin, Facchetti, Bertini, Landini, Cella, Jair, Vanello,
Boninsegna, Suarez e Corso. Dicevamo che, per potere sperare di dire la loro nella lotta Scudetto, sono
obbligati a conquistare l’intera posta. L’Inter è però arrivata a Roma a pezzi, perché Burgnich, Mazzola e
Bellugi non hanno recuperato dai loro infortuni e sono rimasti a Milano. Lorenzo invece, a parte il
lungodegente Mario Facco, dispone dell’organico al completo.
L’Inter inizia bene e, al 24′, Mariolino Corso prende in pieno la traversa con un calcio di punizione dei suoi.
Subito dopo, Di Vincenzo deve impegnarsi in un’uscita decisiva su Boninsegna. Ci siamo anche noi, con
Governato e con Wilson, ma i loro tiri si perdono sulle piste di atletica. Al 37′, Papadopulo si lascia superare da Bertini, il cui tiro dal limite coglie il palo.
Arriviamo al 39’: Chinaglia controlla un difficile pallone e parte, dalla sua metà campo, avanzando sulla
sinistra, a larghe falcate, verso l’area di rigore avversaria. Landini lo raggiunge e lo affianca. Giorgio resiste, poi arriva anche Cella a raddoppiare su di lui, Long John accelera nuovamente. È giovane, irruento,
inarrestabile: da posizione angolatissima, lascia partire una gran botta di sinistro. Il pallone s’insacca a
mezz’altezza, tra il palo e la mano del portiere. 1 a 0, Giorgio corre trionfante verso la Tribuna Tevere
mentre l’Olimpico si colora di bandiere biancoazzurre.
Prima che l’internazionale Francesco Francescon fischi la conclusione della prima frazione, Chinaglia ci
prova ancora ma Landini stavolta para con sicurezza.
Nel secondo tempo l’Inter prova a coglierci di sorpresa. Papadopulo e Wilson issano una Maginot che si
rivelerà quasi imperforabile. Una linea talmente fitta che, al 60’, i due si scontrano. Pino è costretto a
lasciare il campo. Gli subentra Fortunato.
Chinaglia continua a essere imprendibile, tenta il raddoppio, colpendo il pallone da posizione molto
difficile, simile a quella del primo tempo.
Al 62’, anche Bedin rimane vittima di un infortunio e deve abbandonare il campo. L’Inter resta in dieci.
Heriberto Herrera, ha già effettuato l’unica sostituzione consentita. Al 64′ raddoppiamo, proprio per merito di Fortunato, il quale ha impattato assai bene sul match. Ricevuto il pallone da Massa, salta prima Corso e poi Cella; una volta giunto sulla linea di fondo si trova davanti Vieri, che è uscito dai pali per chiudergli lo specchio. Allora Fortunato tocca all’indietro, verso Ghio, che sta giungendo a rimorchio. Non deve far altro che toccare, la porta è vuota. È il 2 a 0, è un gol facile-facile per Ghio che ci infonde molta sicurezza.
Forse troppa. Infatti, rallentiamo e l’Inter accorcia le distanze. Con Boninsegna, che sfodera una girata al
volo che elude l’intervento di Governato.
È il primo giorno di primavera del ‘70, sull’Olimpico splende un sole dorato. È l’ultimo minuto, quando
Giuseppe Massa s’inserisce nello scambio tra Governato e Ghio e supera per la terza volta Vieri. Un gran
gol, un tocco d’esterno ad effetto che fa terminare la partita tra gli applausi. Sarà la più bella Lazio vista
all’Olimpico di tutta la stagione. L’Inter, che non aveva mai subito tre gol in quel campionato, deve
abbandonare la corsa Scudetto.
È trascorso più di mezzo secolo. Chissà se c’è qualcuno, tra i nostri lettori, ad aver acquistato qualche disco che occupava le prime dieci posizioni dei 45 giri più venduti il giorno prima di questo Lazio Inter.
Al primo posto, come dicevamo, c’era Chi non lavora non fa l’amore.
Queste le altre nove canzoni:
La prima cosa bella – Nicola Di Bari
L’arca di Noè – Sergio Endrigo
Eternità – Camaleonti
La nel cuore – Little Tony
Venus – Shocking Blue
Tipitipitì – Orietta Berti
Taxi – Antoine
Sole pioggia e vento – Mal
Pa’ diglielo a ma’ – Nada
Che pezzoni! Come non ricordarli? Le radio li mandano ancora.
Quanto alla Lazio di quel periodo, ci saremmo piazzati all’ottavo posto, prima della Roma, un risultato più
che positivo per una Lazio neopromossa.
Lunedì sera sarebbe bello ritrovarci all’Olimpico di nuovo in settantamila. Lo merita la squadra e lo merita,
soprattutto, Marco Baroni.
Alla prossima, ancora sulle pagine di Lazialità, per un nuovo amarcord di Musica&Lazio!
Ugo Pericoli