MUSICA&LAZIO Parma Lazio, 8 febbraio 2004
Cari fratelli laziali,
ogni epoca ha la sua Lazio e ogni Lazio ha la sua storia. Questa di Marco Baroni, stando alle prestazioni fornite da Ferragosto in poi, sembra essere quella dotata di maggiore velocità nel far cambiare gli umori della piazza. Da Ferragosto è trascorso un trimestre. Storditi dal caldo e dall’addio di Ciro Immobile, attendevamo novità dal fronte calciomercato ed eravamo tutti sul depresso andante. Quei giorni d’agosto sembrano ormai distanti anni luce e ci sembra di vivere sulle nuvole, complice anche il contraddittorio andamento dei nostri dirimpettai, che tutto allieta e (troppo) condiziona. Siamo a circa un terzo del campionato e, se volessimo toccare l’argomento “pagelle”, vorremmo mettere un 8 pieno a questa bella Lazio e un 9 rotondo a Mr. Baroni, per quanto mostrato fin qui. E, nonostante il piccolo inciampo con il Profesionalen Futbolen Klub Ludogorec 1945 (questo il nome per esteso della modesta squadra bulgara), confermiamo questi voti anche per quanto concerne l’Europa League.
Per il nostro appuntamento con Musica&Lazio, oggi vi riporteremo ad una Lazio in formato Austerity.
No, non alludiamo alle misure economiche prese dal Governo agli inizi degli anni ‘70. Ci riferiamo alla Lazio che nacque dalle ceneri di quella cragnottiana. Ricordate? Sergio Cragnotti venne prima obbligato a vendere le sue stelle e poi a passare la mano. Pur in un inequivocabile clima di ridimensionamento, ne uscì fuori una Lazio non solo dignitosa, ma forte e vincente. Era l’anno del sorriso. Se non di tutti i tifosi, sicuramente di un presidente che sapeva sempre affrontare e rispondere, con un sorriso, a tutte le difficoltà.
La Lazio di Ugo Longo era una formazione spogliata dei Nesta, dei Crespo, di Nedved, Negro, Pancaro, Salas, Almeyda, Stankovic e Veron. Del magnifico dream team di fine millennio, rimanevano soltanto capitan Favalli, gli ingrassati Fernando Couto e Sinisa Mihajlovic e l’ex birba Simone Inzaghi.
Sulla panchina, da tempo aveva assunto il comando delle operazioni un altro ex ragazzo. Roberto Mancini era infatti al suo secondo anno da allenatore e stava ripetendo quanto messo in mostra da giocatore, forse con un pizzico di rabbia in più.
Oggi è domenica 8 febbraio 2004: andiamo a Parma per sfidare i Ducali. Si gioca la ventesima giornata del Campionato.
Incroceremo le spade con il Parma di Prandelli, anch’egli considerato uno dei tecnici più futuribili: Frey, Benarrivo, Castellini, Cannavaro, Seric, Barone, Bresciano, Marchionni, Morfeo, Carbone e l’astro nascente Gilardino.
Mancini ha puntato su Peruzzi, Oddo, Stam, Couto, Favalli, Fiore, Dabo, Liverani, Zauri, Corradi e Claudio Lopez. In panchina col Mancio anche Sereni, Albertini, Cesar, Giannichedda, Mihajlovic, Inzaghi e Muzzi. Rispetto al turno precedente Mancini ha cambiato sei uomini. Ha posizionato Zauri altissimo, in linea con la coppia d’attacco Corradi – Claudio Lopez; Dabo farà argine a centrocampo, con Fiore e Liverani. Oddo confermato sull’ala, Stam sarà il perno centrale. Passano cinque minuti e Fiore, imbeccato da Corradi, ha sul piede la prima palla gol: il diagonale però è troppo largo e sfiora il montante di un nulla. Il Parma risponde con un tiro di Barone, poi Benarrivo stende Claudio Lopez. L’arbitro è il tentennante Dattilo da Locri, che non se la sente di fischiare un rigore a freddo. Si arriva dunque al 38′, con Corradi, che sullo spiovente di un calcio d’angolo è atterrato platealmente da Castellini. Dattilo stavolta non ha esitazioni e indica il dischetto. Claudio Lopez lascia partire una (rischiosa) bordata centrale, 0 a 1, siamo al 40′.
Al secondo di recupero ancora uno splendido contropiede – Zauri propone un invitante pallone da destra, velo di Lopez, botta di Fiore e prodigiosa risposta di Frey, che lascia il Parma in partita. Prandelli negli spogliatoi ridisegna la squadra: fuori Morfeo e dentro Cammarata, per provare a sostenere l’abulico Gilardino, perso tra la morsa di Stam.
Mancini risponde inserendo Albertini per Dabo, toccato duro a metà tempo. Passano 5 minuti, Marchionni effettua un tentativo che sembra dar credito alla strategia di Prandelli. È solo un’illusione, Claudio Lopez se ne va tutto solo al 9′, pallonetto a scavalcare Frey, rimbalzo che però scavalca la traversa con una traiettoria beffarda. Nell’azione successiva Claudio Lopez realizza finalmente il meritatissimo 2 a 0 e poi, trascorsi altri dieci minuti, diventiamo inarrestabili: El Piojo scappa ancora e indirizza verso Corradi, per il 3 a 0 che vale il K.O tecnico. Siamo solo al 20’ minuto del secondo tempo e si respira aria di goleada. Un nuovo miracolo di Frey ancora su Corradi, dopo soli quattro giri di lancette, impedisce al risultato di farsi impietoso.
Che anno, il 2004! Mancammo la riconferma in Champions ottenuta l’anno prima ma sollevammo un nuovo trofeo, dopo soltanto quattro anni di digiuno. Mentre Haiducii forniva un pieno di energia con la sua hit Dragostea din tei, sulle cui sonorità kitch-pop moldavo-balcaniche avremmo ballato per tutta l’estate, noi vincevamo la nostra quarta Coppa Italia. Per come si erano messe le cose, ad inizio stagione sembrava una eventualità irrealizzabile. Un successo che fece nascere un sorriso a trentadue denti sul volto di Ugo Longo, nella vittoriosa serata torinese in cui stendemmo la Juve a domicilio. Una Coppa ancora con la formula della doppia finale, andata e ritorno, una vittoria del tutto inattesa, che fece salire la bile a molti, specialmente qui in città. Una certa stampa non la prese affatto bene, qualcuno – ancora irritato dai successi biancoazzurri – avrebbe preferito intonare il de profundis definitivo per la squadra più antica della Capitale, quella che aveva portato il Calcio a Roma.
Quanto alla musica che ci girava intorno in quel periodo, le nostre preferenze premiavano solo artisti stranieri.
Oltre alla menzionata Dragostea din tei, di Haiducii e Gabry Ponte, la classifica della nostra Hit parade di sabato 7 febbraio 2004 vedeva, alla seconda posizione Hey ya! degli OutKast, alla terza Shut up dei Black Eyed Peas.
A seguire, Obsesion degli Aventura, In the shadows di Rasmus, My immortal degli Evanescence, la fascinosa Broken di Elisa, Love profusion, della sopravvalutata Madonna e I’m still in love with you di Sean Paul e Sasha.
Chiudeva un pezzo che era stato un grande classico dei Talk talk nei primi anni Ottanta, It’s my life, questa volta eseguita dai No Doubt, dell’astro nascente Gwen Stefani.
Una playlist interessante ma, diciamocelo, non particolarmente indimenticabile. Molto meglio le nostre Lazio, quella di Roberto Mancini, appena ricordata, e quella attuale, di Marco Baroni, una squadra che ci ha preso il cuor.
Andiamo a Parma, con la stessa modestia e fiducia mostrate fin qui.
Arrivederci alla prossima con Musica&Lazio e, come sempre, forza Lazio!
Ugo Pericoli