Nel corso della trasmissione Lazialità su LazioTv, in onda tutti I lunedì alle 21 sul canale 13 del digitale terrestre e condotta dal nostro direttore Guido De Angelis, è intervenuto Massimo Maestrelli, figlio di Tommaso, per presentare il film dedicato a suo papà dal titolo: “”Maestro, il calcio a colori di Tommaso Maestrelli”. Di seguito le sue parole.
RACCONTARE MAESTRELLI – “Da quando mancò babbo, con mio fratello Maurizio abbiamo sempre pensato che avremmo voluto raccontarlo. Tante persone si sono avvicinate negli anni, ma non mi convincevano. Ho capito però che era arrivato ora il momento giusto, che tra l’altro coincideva con i cinquant’anni dello scudetto. Molti ragazzi di 15-20 anni mi incontrano e li vedo con gli occhi lucidi. Io mi chiedo come sia possibile sapendone così poco. Spero che, attraverso il mio racconto, anche chi non l’ha conosciuto capisca chi è babbo”.
COME VEDERLO? – “Per il film Si potranno acquistare i biglietti online o direttamente al Teatro Olimpico. Quelli per venerdì 25 sono finiti, ma domenica 27 ae 12.00 ci sarà la replica prima di Lazio-Genoa. Poi c’è un progetto di portarlo al cinema per qualche giorno. Successivamente, da gennaio, andrà prima su Rai2 e poi stabilmente su RaiPlay”.
PAPÀ: “NATO PER ALLENARE LA LAZIO” – “Babbo è stato responsabile dei soldati in guerra a 22 anni ed è un’esperienza che lo ha segnato. Se a quell’età ti danno una responsabilità del genere vuol dire che ti riconoscono leader. Io penso che lui sia nato per fare l’allenatore della Lazio. Giocò con la Roma e la squadra andò in Serie B per l’unica volta quando lui era capitano di quella squadra, e non era mai successo. Non avrebbe potuto fare altro dopo quell’avventura in biancoceleste”.
IL RAPPORTO COI CALCIATORI – “Mio papà voleva bene a tutti: mi hanno raccontato che quando la Reggina prendeva un giocatore lui chiedeva sempre a che ora arrivasse perché voleva andare a prenderlo alla stazione. Magari sarebbe potuto andare un dirigente, ma lui voleva che il giocatore trovasse l’allenatore che lo prendesse e lo portasse in albergo”.
CHINAGLIA E LA FRAGILITÀ FUORI DAL CAMPO– “Chinaglia? Papà aveva trovato in lui una fragilità. Non sembra, ma Giorgio, al di fuori dal campo, era una persona molto fragile. Lo colpì molto il fatto che venne messo sul treno da solo a sei anni. Questa grande forza che Giorgio Chinaglia metteva in campo poi si trasformava in fragilità fuori”.
IL RICORDO DEL “MAESTRO” MEZZO SECOLO DOPO – “Credo che lui oggi sia stupito di quando si stia dicendo su di sè. Penso che Maestrelli abbia fatto molto di più dopo la sua morte rispetto a quando era vivo. Cinquant’anni sono un arco temporale troppo grande per far sì che una persona rimanga nel cuore della gente. Quando allo stadio cantano l’inno io guardo la gente e penso che è come se lui ci fosse ancora. Io l’ho perso quando avevo 13 anni ma non ho mai sentito la sua mancanza, c’è sempre stato. Per me andare a trovarlo al cimitero non è una cosa triste. Incontro sempre qualcuno e passo un quarto d’ora a parlare con chiunque. Quando torno a casa ho il cuore ancora più grande di prima di andare. Quando vedo gente che porta sciarpe e oggetti mi danno una carica incredibile”.
I NO ALLA ROMA E ALLA NAZIONALE – “Quando lui retrocesse col Foggia il primo presidente a chiamarlo fu Anzalone per portarlo alla Roma. I giallorosssi erano in Serie A, perché andare con la Lazio in Serie B? Parlai con Giovanni Pirazzini che fu capitano del Foggia e mi disse che Maestrelli, quando conobbe Lenzini e Sbardella disse: ‘Loro mi daranno la mia dimensione. Dato che sono retrocesso devo partire dalla Serie B e devo farlo con una squadra che credo mi darà soddisfazioni’. È la Lazio che ha scelto babbo, non il contrario. La nazionale provò due volte a prenderlo e lui ribadì sempre che la sua nazionale era la Lazio”.
COMO-LAZIO E LA SFIDA ALLA MALATTIA PUR DI SALVARE I BIANCOCELESTI – “Due anni dopo lo scudetto la Lazio era sotto di due gol a Como e fu terribile. Papà aveva la febbre a 39 e faceva un caldo pazzesco. Lui sarebbe morto su quella panchina piuttosto che vedere la Lazio retrocedere. Eppure portò a casa la salvezza e si sentì appagato nei confronti suoi e dei giocatori. Reteocedere quell’anno sarebbe stata una follia”.
LA CENA CON AGNELLI – “Agnelli chiamò babbo sicuro di fargli firmare il contratto con la Juve, ma lui rifiutò. Agnelli gli disse: ‘Tu sei il primo uomo che mi ha detto no nella vita, mai nessuno lo aveva fatto’. Ma papà gli disse che per lui la Lazio in quel momento era più grande della Juve. Successivamente Agnelli lo chiamò e gli disse: ‘Sono pochi gli uomini che fanno una scelta del genere, quindi ti apprezzo per quello che hai fatto. Ero sicuro di farti firmare, invece il fatto che tu abbia rifiutato mi fa pensare che abbia qualcosa che gli altri non hanno. Qualsiasi allenatore avrebbe firmato prima di cena’”.
I NIPOTI – “Mi dispiace tanto che non abbia conosciuto I suoi nipoti: i miei figli Tommaso e Niccolò, quelli di Maurizio Andrea e Alessio e quelli di mia sorella Tommaso e Federica. Quello è il più grande rammarico. Penso che un uomo per chiudere il ciclo della sua vita debba conoscere i nipoti. Quando questo accade una persona può dire: ‘Ok, ce l’ho fatta’. Tutto il resto non conta niente”.
I RACCONTI DI OGNI SERA E LO SCUDETTO PERSO A NAPOLI – “Nei miei tredici anni di vita lui mi ha raccontato tanto. La sera prima di andare a dormire ci portava a letto e ci raccontava un episodio della sua vita, sia attuale che di quando era giovane. Questo accadeva ogni sera. Ci portava al letto e ci dava un bacio sulla fronte, non c’è stata una sera in cui non l’ha fatto. Anche quando perse lo scudetto col Napoli la sera era sfranto, ma ebbe il coraggio di tornare a casa, portarci a letto e parlarci. Noi eravamo delusissimi e gli chiedemmo come avesse fatto a perdere quella partita. Lui si mise a ridere e ci disse: ‘Vi prometto che lo scudetto lo vinco l’anno prossimo’. Noi andammo a dormire tranquilli e ci svegliammo col sorriso, pensando che babbo l’anno dopo potesse vincere lo scudetto. La stagione prossima sarebbe stata ancora più difficile perché la Lazio non era più una sorpresa. Anche Boniperti disse che la Lazio era stata solo una scheggia impazzita e che non avrebbe fatto paura l’anno successivo. Poi si dovette pentire di queste parole perché non era così”.
Di Simone Di Stefano